Breve guida alla crisi economica spagnola
Prendete un paese di taglia media bagnato dal sole, dotato di una popolazione ottimista ed intraprendente, di una forza lavoro sottoccupata e relativamente a buon mercato e di una economia direttamente collegata ai più grandi mercati del pianeta. Secondo una buona logica economica, se le istituzioni sono solide, il governo serio e le infrastrutture adatte, i capitali dovrebbero affluire, la crescita accellerarsi, la moneta apprezzarsi ed il deficit esterno gonfiarsi. In tempi normali, il processo si autoalimenta fin tanto che l'indebitamento esterno è percepito come sostenibile e la crescita dei tassi di cambio non minaccia l'attività economica. In ogni caso, passata una certa soglia di indebitamento, le anticipazioni di cambio se ne vanno ed i capitali fuggono. La crisi dei cambi che ne deriva sfocia in una cura d'austerità, spontanea o forzata, al termine della quale l'economia ripartirà, grazie alle sue qualità strutturali che la crisi non ha danneggiato.
Immaginate adesso che per miracolo, il vincolo esterno scompaia, che il livello dell'indebitamento esterno cessi di essere una variabile da considerare per gli investitori stranieri ed, ancor meglio, che il tasso d'interesse sia fissato da un'istituzione straniera ad un livello molto inferiore a quello che le condizioni correnti dell'attività e dei prezzi normalmente determinerebbero. Quello che ottenete è la Spagna degli anni 2000, un economia che poteva sfruttare i suoi vantaggi naturali senza doversi preoccupare di nessun vincolo esteriore, ed questo in virtù della sua apparteneza alla zona euro. Da una parte, una crescita annuale del 3,6% tra 2000 e 2007, che contrasta con la stagnazione del resto della zona euro (2,4%); dall'altra, un deficit delle partite correnti del 10% del PIL, che non sembra preoccupare nessuno. In sottofondo, una economia che per 10 anni è divenuta un enorme cantiere di costruzione, erigendo in questi ultimi anni tanti appartamenti quanti in Germania, Francia ed Benelux messi insieme.
Debolezze strutturali. Alla base del 20% dell'occupazione creata dall'inizio del decennio, il boom delle costruzioni spiega da solo la maggior parte del diffferenziale di crescita tra la Spagna ed i suoi partner europei. Stimulata da un tasso d'interesse inferiore all'inflazione, la frenesia immobiliaria che si è impossessata della Spagna ha fatto triplicare i prezzi degli appartamenti in dieci anni, un rialzo che è stato superato in Europa solo in Irlanda e Regno Unito. Il regresso del mercato immobiliare, ingolfato da più di un milione di appartamenti nuovi invenduti, non ha tardato a far sentire i suioi effetti sull'attività economica.
In realtà, la crisi immobiliare funziona come rilevatore di debolezze strutturali del modello di crescita spagnolo. L'arricchimento delle famiglie, di cui 90% sono ormai proprietarie di case, si è fondata su una progressione esplosiva del loro indebitamento. Esso ha raggiunto il 135% del loro reddito disponibile, contro il 47% del 1997. Ma contrattati sistemeticamente a tasso variabile, i prestiti ipotecari espongono le famiglie alle fluttuazioni del tasso interbancario europeo(euribor), che è salito in seguito allo scoppi della crisi dei subprime.
IL ruolo esorbitante del settore delle costruzioni nella crescita dell'attività economica e dell'impiego maschera inoltre la debolezza degli investimenti industriali e la stagnazione inquietante della produttivita del lavoro. Quest'ultima non è progredita di molto negli ultimi dieci anni: + 0,2% all'anno, contro l'1,3% in Francia. Combinato ad una progressione dei salari più rapida che nella media della zona euro, la stagnazione della produttività si traduce nella deriva del costo unitario del lavoro che, secondo il Fondo Monetario Internazionale (FMI), sono progrediti del 12% dal 2000 nel settore manufatturiero, laddove esse sono regrediti del 4% in Francia e del 10% in Germania.
La modernizzazione del paese, per quanto spettacolare essa sia, non è accompagnata da una diversificazione delle sue esportazioni, ed in particolare della crescita del loro contenuto tecnologico. La debolezza delle performance spagnole nell'esportazioni, evidenziata dalla contrazione netta di parti del mercato manufatturiero, è soltanto limitata dagli incrementi nel settore dei servizi, ed in particolare nel turismo (la Spagna è divenuta negli anni 2000 la seconda destinazione turistica mondiale, dopo la Francia), dei trasporti aerei e dei servizi finanziari.
Privata del suo principale motore di crescita, penalizzata dall'apprezzamento dell'euro, dal deterioramento della congiuntura europea e dalla contrazione del credito, l'economia spagnola è colpita in pieno dalla crisi. La produzione manufatturiera è caduta del 6% su base annua a luglio 2008, mentre le vendite al dettaglio sono diminuite del 7%. Soprattutto il tasso di disoccupazione, che era sceso sotto l'8% nella primavera 2007, è risalito all' 11% nel luglio 2008, ed ora si attesta intorno al 17% un livello che non ha uguali un tutto il resto dell'Unione Europea.
La lezione iberica. Contrariamente alla maggior parte dei suoi partner europei, la Spagna dispone comunque di una maggiore forza di fronte alla crisi. I suoi conti pubblici presentavano un attivo del 2,2% del PIL nel 2007 ed il basso livello dell'indebitamento pubblico (35% del PIL) le da un margine di manovra prezioso a livello budgetario. Il governo Zapatero intende trarne vantaggio. Tra le misure di rilancio annunciate circa 20 miliardi di euro dovrebbero essere iniettati nell'economia nel 2009-2010, specialmente sotto forma di riduzione d'imposte e di investimenti nelle infrastrutture, ma anche sotto forma di incrementi di spesa dell'ordine del 2% del PIL.
Un altro consistente punto di forza per l'uscita dalla crisi: il sistema finanziario spagnolo è relativamente risparmiato dalla crisi finanziaria internazionale. Scottato dall'impatto destabilizzante della crisi immobialiare al principio degli anni 90sul sistema finanziario, la Banca di Spagna ha optato per la prudenza. Essa ha richiesto alle banche di costituire delle riserve per gli strumenti finanziari fuori bilancio indentiche (8%) a quelle imposte sull'attivo del loro bilancio. Quindi, le banche Spagnole si sono astenute, al contrario delle loro consorelle europee o americane, dal gonfiare i loro impieghi fuori bilancio, il che le ha mantenute a margine della tempesta finanziaria.
Alla prudenza della Banca di Spagna si è aggiunta l'innovazione istituita nel 2000 che prevede un regime dinamico a livello di tassi bancari di provvista che vengona adeguati al ciclo finanziario dell'economia: vengono innalzati quando la crescita del credito è troppo rapida ed abassati quando rallenta. Questa disposizione anticiclica è giustificata dallo scarto esistente tra il momento in cui i rischi sono presi (quando la crescita accellera) ed il momento quando si materializzano (una volta che la crisi è scoppiata). Essa ha come conseguenza la stabilizzazione del ciclo del credito e di protegere le banche dagli effetti devastatori del crack immobiliare.
Questi ultimi sono ben lotani dall'essere esauriti. Secono la maggior parte delle previsioni, i prezzi degli appartamenti, che sono già scesi del 15% dal settembre 2007, potrebbero ancora cadere dal 15% al 20% fino al 2010. Nella sola regione de La Mancha, la patria di Don Quichotte, quasi il 70% degli appartamenti costruiti nel corso degli ultimi tre anni restano invenduti. Questo basterà a calmare l'ardore dei futuri costruttori di castelli in Spagna.
(..fonte..)